giovedì 6 marzo 2008

Editori a pagamento: autori emergenti da sommergere

Se la mia posizione non fosse ancora chiara la ripeterò in modo più esplicito, tanto per essere sicuro che il messaggio sia recepito: mai pagare per essere pubblicati. Qualunque forma di “contributo” richiesto da parte di un editore per procedere alla stampa di un libercolo è un controsenso, perché in nessuna altra realtà un dipendente paga il suo datore di lavoro.

Il paradosso editoriale è proprio questo: un’ingiustificata inversione di ruoli in quello che dovrebbe essere un normale rapporto professionale. Impariamo a dare il giusto valore a ciò che scriviamo, chiediamo maggiore severità, maggiore selezione, probabilmente si pubblicherà di meno, probabilmente molti degli editori fantasma spariranno assieme agli spettri che sono stati capaci di evocare finora, ma di sicuro ci saranno libri migliori, e se tra questi non ci sarà quello che abbiamo scritto noi, pazienza, prima o poi dovremo pure farcene una ragione.
La gloria ha snobbato indiscussi geni della scrittura, dunque perché prendersela se snobba anche noi?

Il contributo economico per la pubblicazione è (quasi) sempre un modo subdolo per lucrare sulle aspirazioni (spesso ingenue, spesso infondate) degli autori esordienti. Fatte le dovute eccezioni, chi chiede soldi ai maniaci della penna è spesso mosso da motivazioni squisitamente economiche, e (quasi) mai incarna il mito del mecenate appassionato del bello.

La discriminante, ciò che distingue la truffa da una rara ma potenzialmente virtuosa cooperazione editoriale, è, ancora una volta, il filtro e la selezione: nessuno può (dovrebbe) pubblicare indistintamente e “senza filtro”, altrimenti non ci sarebbero più differenze tra editori e tipografi. E invece si vedono sempre più editori disposti a pubblicare tutti, magari offrendo pure invoglianti percentuali sui diritti d’autore, che, è bene precisarlo, il più delle volte assomigliano tanto ai miraggi nei deserti, fumo negli occhi destinato a svanire quando il termine del pagamento sarà abbastanza vicino da intravederne i contorni. Soldi come aria.

Generalmente quella degli editori a pagamento è vista come l’ultima possibilità per un autore deluso, quando non del tutto frustrato, di vedere su carta il frutto delle proprie fatiche letterarie. Il canto del cigno di uno scrittore poco obbiettivo con se stesso e con le sue capacità, o il compromesso infausto del genio incompreso e di quello nascosto, che nonostante quel che si dica ci sono, ci sono stati, ci saranno.

In effetti, se l’obiettività fosse più del miraggio impalpabile di cui accennavo, i reiterati rifiuti da parte degli editori “canonici” (meglio se puntuali e giustificati) dovrebbero bastare a scoraggiare tanti aspiranti autori dallo sperperare i propri danari in operazioni di mero autocompiacimento edonistico (conoscete tutti la fine del povero Narciso!)

E poi, se proprio dovessi spendere dei soldi, io preferirei dare in pasto i miei scritti a una delle agenzie letterarie di più provata esperienza. In quel caso, se non altro, sarei sicuro di ricevere un parere schietto e professionale (in fondo li pago proprio per questo!), e una mano per arrivare alla tanto sospirata pubblicazione (sempre che ciò che ho scritto abbia delle imprescindibili caratteristiche “oggettive”)

Personalmente ho declinato l’invito di svariate case editrici che chiedevano una “pubblicazione partecipativa”, con cifre proporzionali al “nome” e alla visibilità delle parti interessate: si andava da un minimo di quattrocento a un massimo di tremila euro (ma sappiate che se avete a disposizione una cifra a quattro zeri allora non ci saranno praticamente limiti per i vostri successi editoriali); più grosso è l’editore più grosso il malloppo da sborsare. A patto di cedere al ricatto, ovviamente.


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1 commenti:

Anonimo ha detto...

Ben detto! Consiglio a chi vuol approfondire l'argomento il postale http://writersdream.org