martedì 15 aprile 2008

I quindici minuti di Andy Warhol sono finiti

Un paio di vite fa, c’era chi scriveva per il piacere di scrivere, gente del calibro di Henry Miller, che si struggeva per dieci anni sulle carte ingiallite del suo Tropico del cancro (e tra le braccia della bella Anaïs) senza che all’inizio avesse neanche intenzione di pubblicarlo. Non dico che la via dello scrittore asceta sia quella auspicabile, con i ritmi che tutti conosciamo sarebbe anacronistica e impraticabile, però andrebbe quantomeno recuperato il senso dello scrivere, la ragione ultima che ci spinge a coniugare le nostre idee con le parole del vocabolario. Questa ragione non può risiedere esclusivamente nella rincorsa a questo o a quell’editore, come se lasciare la nostra firma su una copertina fosse uno strano modo di marcare il territorio, e neanche nella reinterpretazione in chiave postmoderna del mito di Narciso. L’autocompiacimento e l’egotismo, che a dire il vero sono componenti connaturati in quasi ogni esemplare di “homo litteratus”, rischiano di annichilire il gesto “eroico” dell’inventore di storie, di mercificare e sminuire il romanticismo che pure risiede nell’inchiostro, quando questo è stemperato con il sangue e i sogni di chi scrive.
“Uno su mille ce la fa” diceva Morandi in una canzone, forse peccando addirittura di ottimismo, ma a distanza di anni sembra che in pochi abbiano compreso il significato di quel ritornello, un significato scomodo per chi, oggi, preferisce le parole di quel comico mio conterraneo che recita pressappoco così: “Se ce l’ho fatta io ce la puoi farcela anche tu”. Grammatica a parte il senso è piuttosto chiaro, e paventa momenti di gloria per tutti, forse anche al di là dei miseri quindici minuti previsti da Andy Warhol. La realtà, quella che dovremmo imparare a cercare lontano dai dischi e dai cabaret, ha solo “posti numerati”, solo pochi posti numerati, e tante volte bisognerà accontentarci di assistere da lontano. Non è vero che tutti possono farcela, non è vero che prima o poi ognuno di noi finirà sotto i riflettori, e non è vero neanche quello che profetizzava l’eclettico artista di Pittsburgh: il tempo che ci spetta per essere famosi oggi tende inevitabilmente allo zero.

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